Anche quest’anno mi sono concessa un sabato di spettacoli al
festival di narrazione di Arzo, piccolo borgo di Mendrisio. Senza fare una scelta totalmente
consapevole, ma seguendo più che altro istinto e gusto personale, ho segnato un
percorso fra i temi della diversità.
Far sentire lo spettatore parte di una storia, anche molto lontana da lui, è la miglior dote del teatro di narrazione, fatto di nulla, di parole e nient’altro, che apre scenari e crea mondi. Forse per questo amo tanto il teatro di narrazione ben raccontato e i libri di narrativa ben scritti.
Degli spettacoli che ho visto, quindi, voglio segnalarne due
in particolare, che hanno appunto la cifra del diverso e seppure sono molto
differenti fra loro, sono legati dal senso del coinvolgimento.
Bintou Ouattara in Kanu |
Ho iniziato il mio pomeriggio con Kanu
(amore in lingua bambarà), che mi ha proiettato nelle atmosfere e nelle
storie africane alle sponde del Niger. Uno spettacolo per i bambini dai 6 anni,
ma davvero godibile per tutti. Nel Mali si dice Là dove ci si ama, non scende
mai la sera: è l’incipit dello spettacolo. Un ampio vestito bianco è l’unica
scenografia, indossato dalla splendida Bintou Ouattara, che racconta, canta e
danza insieme a Daouda Diabate, che canta e suona strumenti tipici africani e Kadi
Coulibaly, anche lei cantante e danzatrice. La storia è semplice e si fa
pretesto e tela per tessere con perizia l’arazzo di un mondo fatto di leggende
a contatto con la natura, dove ogni animale e ogni pianta trae la sua origine
da un racconto, tramandato da innumerevoli generazioni. Bintou Ouattara è anche
lei una forza della natura, dalla mimica facciale e dalla presenza scenica
notevole, da sola riempie tutto il palco, raccontando e interpretando tutti i
personaggi. Intermezzi di balli, canti e lingua volutamente incomprensibile, ma in fondo
comprensibilissima a tutto il pubblico che infatti ride senza capire le parole,
sono i nodi di questo arazzo che ci restituisce l’immagine di un’Africa festosa
e variopinta, che forse esiste ormai solo nelle storie.
Aleksandros Memetaj |
Si ride, si soffre, si comprende e si condivide in Albania,
casa mia di e con Aleksandros Memetaj, a piedi nudi sulla sua Albania.
Qualche tempo fa avevo letto di un
esperimento di immedesimazione fatto in Ticino, per far intuire ai bambini e ai
ragazzi cosa provano i profughi che arrivano nei barconi, facendoli sistemare
in navi immaginarie approntate nelle palestre e raccontando loro le avversità
di un viaggio senza ritorno, dagli innumerevoli rischi.
Bene, Aleksandros in poco più di un’ora fa un’operazione
molto simile con il suo pubblico, raccontando del viaggio dall’Albania in
Italia, dei suoi genitori e suo, bimbo di 5 mesi. Della difficoltà di inserirsi
in un piccolo paese del Nord Est italiano, che li accetta senza entusiasmo solo per necessità di forza lavoro; del
sentirsi sempre in mezzo, fra due lingue e due culture, come in mezzo all’Adriatico
fra Brindisi e Valona, con l’Adriatico che divide e unisce. I toni sono per lo
più drammatici, ma mai tragici anzi si ride anche molto, soprattutto quando
Memetaj con ironia, fa il verso di alcuni veneti rozzi e ottusi o di altri invece
gentili, come il pizzaiolo Alfredo che insegna a fare la pizza a suo padre
appena arrivato in Italia, spiegando che va “accompagnata” in forno. E non
risparmia neppure la caricatura di alcuni tipici uomini albanesi, anch’essi
comici nella loro semplicità. La drammaturgia dello spettacolo in una
commistione di italiano, albanese e veneto alternando toni diversi, crea in chi
segue stati d’animo differenti, portando ad un coinvolgimento vero dello
spettatore. Come un violino ben accordato, Aleksandros in quest’ora di
spettacolo suona tutte le note del suo testo con maestria e bravura interpretativa,
fino a condurci passo dopo passo al pathos del finale che ascoltiamo con il
fiato sospeso, ma senz’altro tifando per il lieto fine.
Interessante anche la mostra Omocausto, allestita a Corte Camaleonte e realizzata dall'ArciGay Italia con la collaborazione del professor Giovanni Dall'Orto. I pannelli esplicativi raccontano di un eccidio passato sotto silenzio per
troppi decenni: quello degli omosessuali sterminati nei campi di concentramento
nazisti, a causa della loro diversità e silenziato anche dopo, per un senso di
vergogna dei sopravvissuti. Un bell’omaggio di Arzo
per la diffusione e la conoscenza di una verità nascosta troppo a lungo.
Una finestra di Arzo |
di Cristina Radi
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