L’ultimo
amore di Baba Dunja della scrittrice russa Alina Bronsky (edizioni Keller, 2016) sembra in tutta la sua semplicità, voler stravolgere i luoghi più comuni e
soprattutto quello più comune di tutti “quando
c’è la salute, c’è tutto”. Per la protagonista, l’anziana Baba Dunja, con
la famiglia ormai sistemata, la salute passa in secondo piano e vengono prima
la sua serenità, il suo orto e in fondo anche i rapporti umani e la
solidarietà.
Questo libro fa sentire il lettore un po’ voyeur, si
assiste ad un esperimento scientifico mai tentato prima: osservare la vita di
chi sceglie di vivere in un ambiente inospitale, come un nuovo pianeta, la zona
della morte attorno a Chernobyl. Leggendolo, ti senti quasi di incarnare i
panni di quei biologi e scienziati che protetti nella loro tuta antiatomica,
vanno periodicamente a visitare Baba Dunja e il suo habitat.
Sì infatti Baba Dunja decide di tornare a casa sua,
che si trova a pochi chilometri da Chernobyl e che aveva dovuto lasciare anni
prima dopo l’incidente atomico. Adesso consapevole che oltre la vita e la
salute non ha altro da perdere, torna nella sua casa che le offre tranquillità
e solitudine. Ma rimarrà sola per poco, perché in breve sarà seguita da altri
disperati, persone senza più aspettative come lei, creandosi così una piccola
comunità fatta di vivi ma anche di anime defunte che convivono in pace, in
rapporti di vicinato più o meno normali. Il loro tran tran è però interrotto
bruscamente, da chi pieno di risentimento ha intenti diversi dai loro. Da questo
momento in poi tutto cambia, si infrange la serenità del loro piccolo paradiso
contro la brutalità del mondo reale. Paradossalmente infatti quello che per il
senso comune è la zona della morte, per la piccola comunità di Baba Dunja è un
angolo di cielo, fatto di una felicità senza desideri. L’unico legame che
unisce Baba Dunja alla realtà è quello con sua figlia Irina, un medico che vive
in Germania e che cerca di aiutare come può la madre, di cui non comprende le
scelte. Baba Dunja a sua volta ha un’unica angoscia, una lettera in un idioma
incomprensibile per lei, di sua nipote Laura, figlia di Irina. La vecchia nonna
avverte che la lettera è una richiesta di aiuto, di fronte alla quale si sente
impotente, vorrebbe raccoglierla, farla sua, ma la lingua diventa simbolo di un
ostacolo insormontabile. Lei, che nella sua lunga carriera da infermiera aveva
aiutato centinaia di persone, si sente incapace di aiutare proprio chi le sta
più a cuore.
Alina Bronsky |
Alina Bronsky (classe 1978 russa, ma vive in Germania e scrive in tedesco) nel suo stile semplice, quasi scarno riesce
a restituirci tutto lo spessore della vita frugale di Dunja, cogliendo la
profondità di pensiero di una donna semplice, ma molto acuta, che ha un mondo
interiore molto ricco fatto di ricordi e sentimenti, le cui scelte, che
sembrano azzardi di una vecchia pazza, sono invece frutto di una profonda
ponderazione.
Infine dopo una serie di traversie umane e
giudiziarie per la vecchia Baba Dunja, il ritorno a questo Eden al contrario
sembra dare al libro e alla sua vita, un fittizio happy end.
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