Memento mori? Potrebbe forse essere questo un possibile
sottotitolo alla bella mostra dell'artista messicano Javier Marìn (1962), con
l'allestimento a cura dell'archistar Mario Botta, in corso alla Pinacoteca Casa
Rusca di Locarno fino all'8 gennaio 2017.
È un'esposizione in cui risaltano forti i contrasti: luci e
ombre, pieni e vuoti, pesantezza e fragilità, morte e vita, materiali perenni e
deperibili.
Concetti che certo non possono lasciare indifferente,
neppure il visitatore meno avvezzo all'arte contemporanea. Ed infatti uno degli
obbiettivi dell'arte di Marìn è cercare di dare un messaggio universale, anche
allestendo grandi esposizioni all'aperto in luoghi cittadini di passaggio,
perché appunto non può sfuggire che ovunque trapela dalle sue
opere, il senso della precarietà della condizione umana.
Grandi teste, giganteschi corpi sovrastano lo spettatore e
sembrano disfarsi, liquefarsi da un momento all'altro. Corpi pesanti, come è
pesante a volte la condizione corporea, ma anche corpi costruiti e poi
distrutti, caratterizzati da profondi tagli o a pezzi, tenuti insieme da fil di
ferro.
Un'operazione che di primo acchito sembrerebbe una vera e
propria insensata fatica di Sisifo: un'opera viene creata pressoché perfetta,
per poi essere tagliata, rotta e ricostruita.
Ma è un po' anche questo il ciclo della vita, alla nascita ci viene affidato un involucro quasi perfetto che man mano si taglia, si decompone, si disfa sistematicamente ed inesorabilmente di giorno in giorno.
Ma è un po' anche questo il ciclo della vita, alla nascita ci viene affidato un involucro quasi perfetto che man mano si taglia, si decompone, si disfa sistematicamente ed inesorabilmente di giorno in giorno.
A ragione ho letto in più fonti che nell'arte di Marìn si
distinguono anche influssi di origine barocca; un barocco tetro e teatrale allo
stesso tempo, in cui il disfacimento degli elementi ha anche una componente
quasi voyeuristica di esposizione allo sguardo altrui, come nel caso
dei Muertitas e Muertitos, salme già in obitorio o corpi in
esposizione con etichette da negozio.
L'impiego dei materiali è anche sintomatico: terracotta e
resina modellate fino a cercare la plasticità e la trasparenza della pelle. La
resina viene poi spesso accompagnata da materiali organici assolutamente
deperibili come piante, semi, petali e carne essiccata, a cercare l'effetto
differente e a testimoniare che forse neppure l'arte nel suo voler fissare
l'attimo, in fondo è eterna.
Del resto non è forse proprio in Messico che si celebra
una delle più famose Dia de los muertos, dal concetto tutto sudamericano
della cultura della morte prende forse avvio la riflessione
dell'artista, fra esistenzialismo e ironia, come nel caso
delle gigantesche parti anatomiche - occhi, nasi, bocche, ma anche natiche
e sessi - che fanno capolino dalle riquadrature lignee (Relieves
cuadrados) o dei piccoli uomini e donne di Hombresitos y
mujercitas, che nell'allestimento sono stati posti strategicamente in
una parete verticale da soli o in gruppetti di due o tre quasi in
chiacchiere da piazza per sottolinearne ancora come la condizione della
precarietà ci appartenga persino mentre ci occupiamo delle cose più comuni.
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Un articolo prezioso e ben scritto che invoglia chiunque anche il "visitatore" meno intellettuale a recarsi al più presto a scoprire questa che credo sia una magnifica mostra!! Grazie
RispondiEliminagrazie Valentina, infatti è proprio una bella mostra che vale la pena di vedere e più in generale mi sembra che alla Pinacoteca Casa Rusca facciano sempre delle scelte di qualità
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